mercoledì 4 maggio 2011

"DENTI" Una cosa ch ho scritto per una esame o__O



Denti gialli, marci, denti scheggiati dalla violenza dei morsi, denti grondanti di sangue…

Mi svegliai lentamente, tentando invano di mettere a fuoco il mondo attorno a me.
Una luce, pallida ma intensa, avvolgeva tutto, obliando le sagome della città.
Presi un profondo respiro, come si fa dopo l’apnea, un dolore intenso mi scoppiò dai polmoni, propagandosi per tutto il corpo.
Gridai, ma dalla mia bocca uscì solo un gemito soffocato.
La luce pian piano si affievolì, e con essa anche il dolore, che cedette il passo ad uno strano formicolio, come quando si addormenta un piede, ma esteso a tutto il corpo.
Non avevo idea di dove mi trovassi, di cosa mi fosse capitato, la mia mente ondeggiava da un pensiero ad un altro, senza riuscire a soffermarvisi per più di una frazione di secondo.
Mi alzai in piedi, il formicolio mi dava la sensazione di essere nel corpo di un altro, a malapena riuscivo a controllare i muscoli.
Feci qualche passo barcollante verso la strada, accanto al marciapiede sul quale mi ero svegliato.
Ancora non riuscivo a mettere tutto a fuoco, ogni contorno era sfuocato ed i colori parevano più spenti del solito.
Mossi qualche altro passo, barcollando e trascinando i piedi.
L’asfalto era ricoperto di macerie e costellato da voragini, come se vi fosse stata una battaglia.
Riuscii a concentrarmi per qualche secondo su quel pensiero, forse era proprio quello che era accaduto, forse c’era stato un attentato ed io ero rimasto coinvolto!
Scorsi delle figure poco distanti, appena oltre un’auto in fiamme, “Aiuto!” provai a gridare, ma la mia bocca si aprii e si chiuse senza emettere alcun suono.
Arrancai verso la macchina ed in fine raggiunsi gli altri: sembravano feriti, probabilmente anche loro vittime dell’attentato.
Cosa era accaduto, ma soprattutto perché non riuscivo a ricordare nulla prima del risveglio sul marciapiede?
Tesi una mano verso uno di loro, come in cerca di sostegno, ma la riabbassai subito, colto dall’orrore:
Quel povero disgraziato sembrava essersi preso una granata in pieno petto! Lo sterno era ridotto ad un buco sanguinante e da un lungo squarcio che gli attraversava l’ombelico fuoriusciva l’intestino giallognolo.
Era condannato, eppure se ne stava in piedi davanti a me, osservandomi con sguardo vacuo e boccheggiando con la lingua penzoloni.
“Un medico!” Pensai, serviva un medico al più presto.
Mi guardai attorno preso dal panico, dovevo fare qualcosa, ma non sapevo cosa, non riuscivo a riflettere, mi sembrava di avere il cervello immerso in un liquido che appannava ogni pensiero…forse sangue.
Il mondo prese a vorticare attorno a me, cosa dovevo fare, cosa potevo fare?!
All’improvviso ogni cosa smise di girare, il tempo parve rallentare, non percepivo nemmeno più il formicolio a testimoniare che avevo ancora un corpo, rimasi sospeso, come in un limbo.
Le fiamme che consumavano la vicina auto divennero liquide, lingue di densa luce ondeggiante.
Il sangue sull’asfalto era un tappeto di velluto rosso, la polvere e le scintille nell’aria costellazioni danzanti.
Un profumo, intenso ed inebriante mi travolse, mentre ogni suono veniva inghiottito da un battito ritmico e concitato, come il suono di un tamburo.
Senza nemmeno saperne il motivo cominciai a correre verso la sorgente di quella musica, era ormai l’unica cosa che riuscissi a percepire, l’unica alla quale riuscivo a pensare.
Le altre vittime dell’attentato mi seguirono a ruota, forse anche loro avevano udito quel meraviglioso tamburellio, chissà se erano eccitati quanto me?!
Schegge di luce precipitarono dalle finestre dei palazzi attorno a noi, attraversando i crani dei miei compagni che rovinarono al suolo uno dopo l’altro.
Ci stavano sparando addosso, ma non vi feci caso, anzi, nemmeno me ne accorsi, contava solo quel battito, quell’intenso profumo.
Svoltai l’angolo e finalmente la vidi: accovacciata in un angolo di quella strada chiusa, davanti alla vetrina di una panetteria, c’era una ragazza.
Era pallida e ricoperta di polvere, il vestitino rosa ridotto a brandelli, i lunghi capelli biondi ammassati in ciocche sporche e arruffate che le ricadevano sul viso.
Mi squadrò con i suoi occhi azzurri, terrorizzata.
Era suo il profumo, era lei che suonava quella dolce melodia per me: “tum, tum, tum…”, il ritmo era aumentato da quando l’avevo trovata.
Mi avvicinai lentamente e lei si ritrasse ancora di più, stringendosi le gambe al petto.
Ma perché aveva paura di me, io volevo solo….volevo solo…
La raggiunsi e mi lasciai cadere sulle ginocchia, tesi le mani verso di lei, tremava e quando le afferrai le spalle sussultò.
Volevo consolarla, rassicurarla, ma non riuscivo a parlare, potevo emettere solo qualche verso gutturale, così decisi di abbracciarla.
Sentii le sue lacrime calde su di me, strinsi più forte, il suo profumo mi inebriava, facendosi sempre più intenso man mano che la sua pelle si avvicinava al mio volto.
Le sfiorai il collo con la bocca, avrei voluto baciarla, ma non sentivo le mie stesse labbra, così la morsi.
Affondai i denti nella sua carne tenera, il sangue denso zampillò in ogni direzione, il battito si fece frenetico.
Strappai un grosso pezzo di carne dal suo collo e lo ingoiai, per poi tornare ad avventarmi sulla ferita aperta.
Aveva smesso di piangere, di tremare, forse ora stava meglio, pensai compiaciuto mentre masticavo.
All’improvviso mi accorsi che il battito stava diminuendo, la melodia si stava affievolendo ed in fine si spense del tutto.
Sciolsi l’abbraccio e osservai confuso gli occhi ormai spenti di quella dolce ragazza, perché aveva smesso di suonare per me, perché ora mi ignorava?
Alzai lo sguardo verso la vetrina della panetteria, osservando la mia immagine riflessa:
Il mio volto era una maschera di sangue, lembi di muscoli e pelle penzolavano dal mio teschio annerito dal fuoco e la mia bocca, ormai priva di labbra, mostrava i denti scoperti.
Denti gialli, marci, denti scheggiati dalla violenza dei morsi, denti grondanti di sangue…

Nessun commento:

Posta un commento